Normativa Welfare: Riforma o Restyling?
di Giacomo Pierozzi, Giano Studio Net, Forlì
Come è noto, a partire dalla Legge di stabilità del 2016, il cosiddetto Welfare Aziendale ha focalizzato in modo crescente l’attenzione degli “addetti ai lavori” che ne hanno iniziato a cogliere l’opportunità e le potenzialità.
Eppure il welfare aziendale – inteso quale “insieme di beni e servizi erogati o messi a disposizione dal datore di lavoro a favore del dipendente” – esisteva da tempo immemorabile, rinvenendosi già nel D.P.R. 917/1986 e rivisitato nel 1997 con il D.Lgs 314.
Tuttavia solo recentemente può dirsi entrato a fare parte della cd “cassetta degli attrezzi” del direttore del personale, di supporto alla definizione di possibili piani salariali in ottica di incentivazione o di fidelizzazione.
Che cosa di fatto, – a partire dal 2016 – ha consentito il decollo di tale forma di erogazione economica, atteso che la cosiddetta “forbice fiscale” netto in busta/costo azienda fosse già in buona sostanza vantaggiosamente azzerata per effetto delle norme di legge esistenti?
Due sono state le tipologie di intervento con le quali il legislatore – a mio avviso in modo intelligente – ha rivisitato una normativa assolutamente desueta ed inutilizzata fino a quel momento.
1) Il riposizionamento del welfare da “liberalità datoriale” ad elemento “sinallagmatico” della prestazione. Fino a quel momento l’erogazione di beni e servizi era prevalentemente una mera discrezionalità del datore di lavoro che decideva – senza esserne tenuto – per una elargizione ai propri dipendenti, sovente in occasioni di ricorrenze particolari o di festività; la circostanza che dovesse trattarsi di una elargizione discrezionale slegata dal rendimento o dalla prestazione era addirittura “la condicio sine qua non” per la sua non imponibilità o per la parziale deducibilità dal reddito di impresa!
Il legislatore interviene intelligentemente e trasforma il welfare da “regali” a strumento di politica salariale, inquadrabile in due tipologie:
* erogazione unilaterale: da disciplinarsi all’interno di un regolamento aziendale.
* erogazione negoziale: da prevedersi nell’ambito della contrattazione collettiva di primo e/o di secondo livello.
A tali forme di erogazione economica in natura – ove disciplinate da regolamento o contratto integrativo – il legislatore vi abbina un ulteriore vantaggio dato dalla loro totale deducibilità dal reddito di impresa; contro una risibile percentuale del 3% nel caso in cui l’erogazione economica restasse una mera liberalità discrezionale.
2) Estensione della gamma delle erogazioni in natura e “restyling” di forme pre-esistenti in un’ottica di maggiore fruibilità. Il legislatore ha quindi cercato di favorire un maggiore ricorso al welfare aziendale anche andando ad ampliarne tipologie e forme. Fra le tipologie di welfare di più recente introduzione annoveriamo ad esempio il rimborso dei servizi di assistenza ai familiari anziani e non autosufficienti (art. 51 comma 2 lett. f ter ) misura introdotta nel 2016 o gli abbonamenti per trasporto pubblico locale (art. 51 comma 2 lett. d bis) misura introdotta nel 2018, quale opportuna estensione del servizio di trasporto collettivo organizzato dal datore di
lavoro, di cui si rinvengono pochissime casistiche.
Si è tradotto invece in un vero e proprio “volano” del welfare la possibilità di far confluire l’erogazione generica e residuale di beni e servizi – non specificatamente riconducibili a particolari categorie di welfare (art. 51 comma 3 ) – all’interno di “vouchers” cartacei o elettronici. Come si sa, i beni e servizi non specificamente rientranti in categorie codificate, sono soggetti ad un tetto di esenzione attualmente limitato ad euro 258; detengono di contro il vantaggio di poter essere corrisposti anche “ad personam” e non solo alla “generalità dei dipendenti o a categorie di essi”: condizione generale che contraddistingue il welfare di ieri e di oggi. Tuttavia la possibilità data di realizzare “gift cards” atte a consentire l’acquisto di una molteplicità di beni nell’ambito di un basket pre-definito, ha consentito un grande diffusione di tale tipo strumento, in tal senso concepito e sempre più percepito come “denaro contante” che – pur nella sua modica entità – ha contribuito a diffondere la cultura e la conoscenza del welfare, anche per la estesa platea di fruitori, dato il modico importo.
C’è infine un terzo importante fattore che ha contribuito al decollo del welfare quale strumento di politica salariale; non ad opera del legislatore in questo caso, ma frutto del progresso tecnologico. E’ banale affermarlo, ma la possibilità di veicolare tutte le forme di welfare nell’ambito di una piattaforma informatica contestualmente interfacciata con i soggetti erogatori di beni e servizi, con i centri di elaborazione paghe e con le “App”
degli smartphone dei lavoratori, ha contribuito in maniera decisiva alla crescente adozione in azienda di uno strumento che oggi appare riduttivo definirlo mero strumento di politica salariale.
Infatti, nella sua insita capacità di interconnettere AZIENDE “datrici di lavoro” e nel contempo “erogatrici di servizi” con INDIVIDUI “lavoratori” e nel contempo “consumatori finali” il welfare rappresenta oggi un formidabile volano per l’economia di un territorio.
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